Titolo opera: s.t.

Codice: 044

Artista: Pierfranca Monte – Camerana (CN)

 

Anno opera: s.d.

Nazione: Italia

Supporto: carta

Tecnica: serigrafia 13/25

Dimensioni: 35x25 cm.

Stile: Poesia visiva, 

Corrente artistica: neo-dadaismo, Nuova Scrittura

Valore:

Stato conservazione: alcune macchie di muffa

Ubicazione opera originale: Parma

Descrizione: firmato dall’autrice sul fronte

 

Biografia:

Pierfranca Monte, nata a Camerana (CN), vive e lavora da oltre 10 anni nel “Laboratorio” di via Sansoni, 4 (centro storico medievale) a Savona. Dal 1978 nel suo laboratorio di ceramica nasce, accanto al lavoro con la creta, una vivace ricerca che l’artista esprime con olii, acquarelli, tessuti e grafica.

E’ del 1981 la prima mostra personale alla Galleria Elefante Blu di Albenga alla quale seguono importanti partecipazioni a collettive italiane ed internazionali. Significative, nel 1981, “Nuove Presenze” al Centro d’Arte e Cultura Il Brandale di Savona e alla Galleria Nove Colonne di Trento.  Il lavoro di Pierfranca Monte è inusuale almeno quanto atipica è la sua figura di operatrice nell’area che sta fra “l’Arte” che oggi (1991)si tende a riconsacrare e l’arte applicata. Per cui con le discussioni intese a distinguere, in questa strana epoca di trapasso, che cosa sia o non sia, “Arte”, ci si potrebbe intrattenere a lungo. Meglio lasciar perdere, avanzando qualche considerazione sul rapporto fra “testi” e il contesto: territoriale, in questo caso.

A suo tempo ci è capitato di scrivere, a proposito di alcune opere di Pierfranca Monte, di ”ceramiche neodadaiste”  e, precedentemente, di una ricerca che in modo spontaneo è andata ad incrociarsi con la poesia visuale, il  filone “colto” dell’esperienza artistica moderna; la parola, vuoi come “oggetto”, vuoi come “scrittura”, è del resto una costante, nel suo lavoro. C’è stato-ma poteva mancare?- uno svolgimento; in breve, il passaggio da un sistema di relazioni formali interne all’opera, in funzione compositiva, al “meno costruito”, a vantaggio della espressività. Attingendo all’universo iconico del fumetto; a quei “luoghi comuni” dell’immaginario di massa la cui frequentazione, intervenendovi creativamente, è un tratto distinto di quel singolare habitat socio-culturale che è il centro storico.

In questo caso l’immortale Topolino. Per la verità un “topastro”; l’ingrandimento dsell’immagine, la sbrigativa definizione grafica, il segno rimarcato, lo reinterpretano come figura incombente sulla irrealità di paesaggi spogli, sconnessi, approssimativi.

Dalle piastrelle grezze dipinte a freddo ai piatti barocchi smaltati, mettendo, anche tecnicamente “le mani in pasta” nella materia (ingobbio, cottura e gli altri procedimenti della lavorazione della ceramica). E sono queste allucinate presenze larvali che emergono a fondo.

 

Non è qui il caso di andare più avanti nell’analisi; ci interessa di più, lo si è detto in premessa, il rapporto con il contesto, guardando al più delineato ambito territoriale.

Tra gli elementi che lo contrassegnano fa mostra di se, vicino ai “giardini” dell’Oratorio dei Beghini, una “edicola” che esibisce orribili fiori di plastica accanto ad un immagine sacra che il tempo ha trasformato in informe macchia grigiastra: una traccia: una “segnatura” del territorio che rimanda a una ritualità d’altri tempi. Poco distante, al primo incrocio di vicoli verso via Pia, è il laboratorio che sforna le ceramiche di cui ci stiamo occupando. Non è questione di arte o artigianato a contare, è la qualità (“fattura”  e messaggio); sono oggetti della comunicazione visiva che qui (il contesto, appunto) sono indistinguibili dalla comunicazione interpersonale. Ci piace assimilarli alle pratiche operative che si sottraggono alla istituzionalità culturale; e ci sembra utile censire quegli spazi, sempre più rari dove, senza concessioni al pressapochismo culturale (e ce n’è tanto in giro) può esprimersi una creatività diffusa volta a recuperare l’arte (questo strano oggetto) al suo valore d’uso. Coltivando l’idea (utopistica?) di possibili processi di riaggregazione in avanti, ritagliati al di fuori del “nostro” insensato banale “quotidiano”.

Nella stessa via Sansoni, al numero civico 7, quasi di fronte al laboratorio, una presenza aliena: la targa della berlusconiana Fininvest.

Stanno arrivando?

Stenlio Rescio (1991)

 

Mostre personali e collettive:
1982 “Salva La Campagna Romana”, Mostra Internazionale Comune di Guidogna, Montecelio, Roma.

1983 “Fe-Mail-Art”, curata da Mirella Bentivoglio, Galleria Z.M. Salonicco ed Atene.

1984 “Situazione Liguria”, Centro d’Arte e Cultura Il Brandale di Savona, entrata nella documentazione

           degli archivi della Biennale di Venezia e della Biennale di San Paolo del Brasile.

1988 “A 500 anos de la Llegada de colon a America”, Ibiza e Santiago de Compostela, Spagna.

1989 “Cinema per la pace”, Mostra Internazionale, genazzano, Roma.

1992 Personale al Centro d’Arte e Cultura Il Brandale di Savona.

1995 “Mail Art”, Portogallo.

 

2000 “ShinOH!”, J2 Gallery Nodera-Clinton Exhibition, Tokyo.